Storia felice del quarto scudetto

Esistono tanti modi per essere felici, e possono essere diversissimi anche se hanno in comune la causa.

Articolo a cura di Gianni Montieri – FONTE: www.esquire.com

Esistono tanti modi per essere felici, e possono essere diversissimi anche se hanno in comune la causa. Il modo in cui arriva la felicità cambia perché è diversa l’attesa, differente è il modo di stare seduti sulla sedia aspettando il soffio che arriva. La sua origine, la distanza, la sua velocità. Chi decide è il tempo. Lui misura, detta le regole, stabilisce da che parte la palla debba rotolare, su quale sponda dell’attesa siamo destinati a stare. Stavolta ci siamo seduti, quasi senza saperlo, dalla parte giusta dell’attesa. L’attesa si scioglie e si compie alle 22.48 del 23 maggio 2025, dopo cinque lunghissimi minuti di recupero (ma un minuto un minuto quanto può durare, cantava Luca Carboni). Il Napoli batte il Cagliari 2-0 e rende inutile la vittoria dell’Inter a Como. La città diventa un fuoco / fiocco d’artificio architettonico o, meglio, sembra che i cori, le urla, gli scoppi, le luci, le fiammelle facciano parte del disegno originario della città. E forse è così, mi convinco bene che è così.

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Lo scudetto del Napoli

Dopotutto la città si regge sul vuoto e sulla lava, sotto scorrono cavità, vibrazioni, lapilli, fumi distanti, tufo e fuochi mai troppo sopiti. Dalle 22.48 in avanti la città si restituisce a sé stessa, il fuoco di sotto si mescola agli artifici di sopra, si mescola all’azzurro esteso che riveste tutto. Si fonde con i cori della gente, con gli abbracci, con gli occhi luminosi e illuminati da qui a sempre dei bambini. Tutto questo esiste già, e quando il Napoli non vince viene semplicemente riposto come un abito fuori stagione sul fondo di un armadio. Le persone accantonano le loro micce, gli inneschi, gli entusiasmi. Tentano un equilibrio camminando sul vuoto e vanno avanti. A volte sono necessari 33 anni affinché tutto riaffiori, altre – come questa – soltanto un paio. Paradossalmente, l’attesa più breve, con un solo campionato di mezzo, è sembrata più lunga dell’altra, estesa, perché nessuno a inizio stagione l’avrebbe prevista. Tutti speravano in un’annata non disastrosa come la precedente, con l’obiettivo di squadra e città di ritornare in Champions League. E invece poi le cose cambiano e, all’improvviso, vanno come devono andare. Non possiamo fare nient’altro che adeguarci e gioire.

Un’ora e dodici minuti dopo il fischio finale di Napoli-Cagliari, con la città impazzita, scocca il mio compleanno, ma non me ne rendo conto, sono (come due anni fa) a festeggiare di nuovo a modo mio, con i cani lungo le Zattere, nel silenzio di Venezia che richiama sé tutti i cori e gli abbracci che salgono da Napoli. Solo che il silenzio non è mai lo stesso, come la felicità, appunto, cambia di volta in volta, anche se di certo stavolta è colorato d’azzurro, come nel 2023, come una bandiera gigante che idealmente sto sventolando accanto al Ponte dell’Accademia. Cammino e penso, e conto, e metto insieme gli elementi del disastro e la loro trasformazione di questa sera in un mantello fatto di gioia. Il Napoli nel 2023 era diventato la rappresentazione della meraviglia applicata al calcio. Nel 2024 si è rivelato il suo opposto. La meraviglia è andata dissolta in incubi, varie parti di orrore. Dalla vetta più alta, dalla linea più bella che l’orizzonte mostra alle spalle di Castel dell’Ovo, la squadra e tutta la città appresso è scesa negli inferi, senza passare per la porta del lago d’Averno poco distante, ma da una porta di calcio presa a pallate da chiunque, che fosse Lautaro o una terza riserva dell’Empoli.

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SSC NAPOLI//Getty Images

Gli elementi del disastro. Tutto era nato da scelte scellerate della dirigenza, da una sorta di delirio di onnipotenza del presidente, che però durante l’estate del 2024 è tornato in sé, del resto, non è simpatico, ma l’imprenditore lo sa fare. Ha scelto Conte, gli ha preso i calciatori che ha richiesto. Lukaku, Buongiorno, Gilmour e, soprattutto, Mc Tominay, il miglior calciatore del campionato. È il mio compleanno ma io penso alla mezza rovesciata, degna degli album Panini, che ha fatto il centrocampista scozzese. Il presidente non ha parlato quasi per tutta la stagione, quando accade tutta Napoli sa che è un buon segno. Antonio Conte ha preso in mano la squadra, l’ha modellata e, passo dopo passo, l’ha portata fino al traguardo incredibile. Gli elementi del disastro ribaltati di nuovo in stupore, incanto, entusiasmo.

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Marco Cantile//Getty Images

Il Napoli del 2025 ha giocato bene

Si dice, si dirà, che il Napoli di quest’anno non ha giocato bene. Non sono d’accordo, non del tutto. Di certo non è stato sempre spettacolare, questo posso concederlo. È stato però sempre solido, concreto, accorto, determinato, preciso, attento. Ha giocato in tanti modi diversi, molte sono state le intuizioni di Conte che hanno fatto sì che la squadra applicasse vari moduli e schemi. Alcuni li ha scelti l’allenatore, altri glieli ha imposti la sorte, a volte per vari infortuni, altre per cessioni inattese come quella di Kvara a gennaio. L’allenatore del Napoli non si è mai lamentato, e non lagnarsi dopo la partenza a metà stagione del giocatore più forte non era semplice. Ha avuto ragione. La squadra non ha ceduto, gli ha creduto e ha tirato dritto, pur con qualche flessione. Ma è stata in testa 20 giornate su 38, qualcosa questo vorrà pur dire. E poi conto, a memoria, alcune bellissime partite. All’andata, al Meazza, contro il Milan, con i gol di Lukaku e Kvara (l’ultimo con la maglia del Napoli). I due pareggi con l’Inter, specie quello del ritorno, in quella partita, soprattutto, gli azzurri hanno scucito lo scudetto dal petto dei nerazzurri, con un secondo tempo meraviglioso e intenso che ha portato al pareggio di Billing (fino a quella sera sconosciuto acquisto di gennaio e subito dopo eroe). La vittoria al Maradona per 2-1 sulla Juventus, con i gol di Anguissa e Lukaku e, di nuovo, con un secondo tempo da togliere il fiato; partita in cui Simeone si è prodotto in un tackle in tuffo di testa, una delle immagini simboliche di questo Napoli. E altra splendida partita ancora è stata quella vinta per 3-2 a Bergamo contro l’Atalanta, altra partita decisiva. Questo, per dire, che diverse volte il Napoli è stato anche spettacolare. A volte non ha brillato, ma ha giocato bene, dove bene si traduce in applicazione. Per un sacco di mesi ho creduto che nessuno potesse segnare al Napoli. Non abbiamo mai sbadigliato, quando è mancato lo spettacolo è comparsa la tensione. Ne è valsa la pena.

I tifosi ci hanno sempre creduto

I tifosi hanno aspettato, ma ci hanno sempre creduto, hanno spinto la squadra partita dopo partita, a Napoli o fuori casa. Ci sono sempre stati. Ci hanno creduto, ci abbiamo creduto.

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Ivan Romano//Getty Images

I calciatori sono migliorati tutti

I calciatori sono migliorati tutti. Politano e Di Lorenzo hanno dominato la fascia destra, consumandola. E, alternandosi, dall’altra parte sono stati formidabili Spinazzola, Olivera e Neres (Kvara non lo nominiamo più). In difesa Buongiorno, Rrahmani e Meret (e Juan Jesus all’occorrenza) hanno dato prova di talento, precisione, attenzione come non se ne vedevano da un po’. Lobotka ha fatto il Lobotka. Gilmour ha fatto il suo, potenzialmente un grandissimo centrocampista per il futuro. Anguissa ha forse avuto la sua stagione migliore. Lukaku, pur non essendo più quello dell’Inter, è sempre Lukaku e – tra gol e assist – ha indirizzato mezzo campionato. Raspadori è stato decisivo come due anni fa, ha tratto profitto da ogni minuto disputato e ha fatto tutti gol pesanti. Infine, Scott McTominay, il dominatore del campionato, una spanna sopra tutti, comparso in ogni zona del campo al momento opportuno. Che bella scoperta. A settembre aveva detto di essere venuto a Napoli per vincere, non per scattare fotografie. Aveva ragione, le foto gliele abbiamo scattate noi.

La mattina del giorno dello scudetto il Comune di Napoli ha approvato una mozione per il riconoscimento dello stato della Palestina e contro il genocidio. Un atto importante dal forte valore simbolico. Nel giorno della gioia dei bambini napoletani, Napoli pensa ad altri bambini che dovrebbero giocare per strada, che dovrebbero guardare al futuro. Curzio Malaparte scriveva, con molte ragioni: «È il destino dell’Europa di diventare Napoli», speriamo lo sia sul serio, che il mondo intero diventi un po’ Napoli. In città le bandiere del Napoli si sono mescolate a striscioni o bandiere della Palestina. Pensare agli altri è tutto, anche mentre si gioisce per una cosa semplice come il gioco del pallone.

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NurPhoto//Getty Images

Mentre scrivo sono passate molte ore dalle 22.48, il mio smartphone continua a riempirsi di video, foto di amici che mi aggiornano con quello che succede in città. Vedo tutto, però, chiaramente anche solo con l’immaginazione. Sento con le mie orecchie i cori grati per Orsolini e Pedro, sento il pavimento di casa vibrare. Il Napoli ha vinto un campionato molto difficile ma non penso al miracolo, penso al lavoro, al pallone che si è messo a rotolare dalla parte giusta e penso alla città che ha aperto varchi, fenditure e brecce e ha fatto uscire nuvole azzurre cariche di acqua felice, ed è quella che piove da alcune ore da Fuorigrotta a piazza del Plebiscito, da piazza Dante alla Sanità, dai Quartieri a Santa Lucia, dal porto fino a Mergellina, da Posillipo al Vomero. È pioggia azzurra, è bella.